Il patrono: San Michele Arcangelo
Il nome dell’arcangelo Michele, che significa “chi è come Dio?”, è citato cinque volte nella Sacra Scrittura: tre volte nel libro di Daniele, una volta nel libro di Giuda e una volta nell’Apocalisse di S.Giovanni Evangelista. In tutte le cinque volte egli è considerato “capo supremo dell’esercito celeste”, cioè degli angeli in guerra contro il male, che nell’Apocalisse è rappresentato da un dragone con i suoi angeli; esso sconfitto nella lotta, fu scacciato dai cieli e precipitato sulla terra.
In altre scritture il dragone è un angelo che aveva voluto farsi grande quanto Dio e che Dio fece scacciare, facendolo precipitare dall’alto verso il basso, insieme ai suoi angeli che lo seguivano. Michele è stato sempre rappresentato e venerato come l’angelo-guerriero di Dio, rivestito di armatura dorata in perenne lotta contro il Demonio, che continua nel mondo a spargere il male e la ribellione contro Dio. Egli è considerato allo stesso modo nella Chiesa di Cristo, che gli ha sempre riservato fin dai tempi antichissimi un culto e devozione particolare, considerandolo sempre presente nella lotta che si combatte e si combatterà fino alla fine del mondo contro le forze del male che operano nel genere umano.
Dante nella sua “Divina Commedia” pone il demonio (l’angelo Lucifero) in fondo all’inferno, conficcato a testa in giù al centro della terra, che si era ritirata al suo cadere provocando il grande cratere dell’inferno dantesco. Dopo l’affermazione del cristianesimo il culto per S.Michele, che già nel mondo pagano equivaleva ad una divinità, ebbe in Oriente una diffusione enorme, ne sono testimonianza le innumerevoli chiese, santuari e monasteri a lui dedicati; nel secolo IX solo a Costantinopoli, capitale del mondo bizantino, si contavano ben 15 fra santuari e monasteri, più altri 15 nei sobborghi. Tutto l’Oriente era costellato da famosi santuari a cui si recavano migliaia di pellegrini da ogni regione del vasto impero bizantino e, come vi erano tanti luoghi di culto, così anche la sua celebrazione avveniva in tanti giorni diversi del calendario.
Perfino il grande fiume Nilo fu posto sotto la sua protezione, si consideri che la chiesa funeraria del Cremlino a Mosca è dedicata a S.Michele. Per dirla in breve, non c’è Stato orientale e nord africano che non possegga oggetti, stele, documenti, edifici sacri, che testimoniano la grande venerazione per il santo condottiero degli angeli.
In Occidente si hanno testimonianze di un culto con le numerosissime chiese intitolate a volte a S.Angelo, a volte a S.Michele, come pure località e monti vennero chiamati Monte Sant’Angelo o Monte San Michele, come il celebre santuario e monastero in Normandia in Francia, il cui culto fu portato forse dai Celti sulla costa della Normandia; certo è che esso si diffuse rapidamente nel mondo Longobardo, nello Stato Carolingio e nell’Impero Romano. In Italia sano tanti i posti in cui sorgevano cappelle, oratori, grotte, chiese, colline e monti tutti intitolati all’Arcangelo Michele, non si può accennarli tutti, ci fermiamo solo a due: Tancia e il Gargano. Sul Monte Tancia, nella Sabina, vi era una grotta già usata per un culto pagano che, verso il VII secolo, fu dedicata dai Longobardi a S.Michele; in breve fu costruito un santuario che raggiunse gran fama, parallela a quella del Monte Gargano, che comunque era più antico.
La celebrazione religiosa era l’8 maggio, data praticata poi nella Sabina, nel Reatino, nel Ducato Romano e ovunque fosse estesa l’influenza della badia benedettina di Farfa, a cui i Longobardi di Spoleto avevano donato quel santuario. Ma il più celebre santuario italiano dedicato a S.Michele è quello in Puglia sul Monte Gargano; esso ha una storia che inizia nel 490, quando era papa Gelasio I; la leggenda racconta che casualmente un certo Elvio Emanuele, signore del Monte Gargano (Foggia), aveva smarrito il più bel toro della sua mandria, ritrovandolo dentro una caverna inaccessibile. Visto l’impossibilità di recuperarlo, decise di ucciderlo con una freccia del suo arco; ma la freccia inspiegabilmente invece di colpire il toro, girò su sé stessa colpendo il tiratore ad un occhio. Meravigliato e ferito, il signorotto si recò dal suo vescovo S.Lorenzo Maiorano, vescovo di Siponto (odierna Manfredonia), e raccontò il fatto prodigioso. Il presule indisse tre giorni di preghiere e di penitenza, dopodiché S.Michele apparve all’ingresso della grotta e rivelò al vescovo: “Io sono l’arcangelo Michele e sto sempre alla presenza di Dio. La caverna è a me sacra, è una mia scelta, io stesso ne sono vigile custode. Là dove si spalanca la roccia, possono essere perdonati i peccati degli uomini…Quel che sarà chiesto nella preghiera, sarà esaudito. Quindi dedica la grotta al culto cristiano”. Ma il santo vescovo non diede seguito alla richiesta dell’arcangelo, perché sul monte persisteva il culto pagano; due anni dopo, nel 492, Siponto era assediata dalle orde del re barbaro Odoacre (434-493); ormai allo stremo, il vescovo e il popolo si riunirono in preghiera, durante una tregua, e qui riapparve l’arcangelo al vescovo S.Lorenzo, promettendo loro la vittoria, infatti durante la battaglia si alzò una tempesta di sabbia e grandine che si rovesciò sui barbari invasori, che spaventati fuggirono.
Tutta la città e il vescovo salirono sul monte in processione di ringraziamento; ma ancora una volta il vescovo non volle entrare nella grotta. Per questa sua esitazione che non si spiegava, S.Lorenzo Maiorano si recò a Roma dal papa Gelasio I (490-496), il quale gli ordinò di entrare nella grotta insieme ai vescovi della Puglia, dopo un digiuno di penitenza. Recatisi i tre vescovi alla grotta per la dedicazione, riapparve loro per la terza volta l’arcangelo, annunziando che la cerimonia non era più necessaria perché la consacrazione era già avvenuta con la sua presenza. La leggenda racconta che quando i vescovi entrarono nella grotta trovarono un altare coperto da un panno rosso con sopra una croce di cristallo e impressa su un masso l’impronta di un piede infantile, che la tradizione popolare attribuisce a S.Michele. Il vescovo S.Lorenzo fece costruire all’ingresso della grotta una chiesa dedicata a S.Michele e inaugurata il 29 settembre 493; la Sacra Grotta è invece rimasta sempre come un luogo di culto mai consacrato da vescovi e nei secoli divenne celebre con il titolo di “Celeste Basilica”. Attorno alla chiesa e alla grotta è cresciuta nel tempo la cittadina di Monte Sant’Angelo nel Gargano. I Longobardi che avevano fondato nel secolo VI il Ducato di Benevento vinsero i feroci nemici delle coste italiane, i saraceni, proprio nei pressi di Siponto, l’8 maggio 663; avendo attribuito la vittoria alla protezione celeste di S.Michele, essi presero a diffondere il culto per l’arcangelo in tutta Italia, erigendogli chiese, effigiandolo su stendardi e monete e instaurando la festa dell’8 maggio dappertutto. Intanto la Sacra Grotta diventò per tutti i secoli successivi una delle mete più frequentate dai pellegrini cristiani, diventando insieme a Gerusalemme, Roma, Loreto e S.Giacomo di Compostella, i poli sacri dall’Alto Medioevo in poi. Sul Gargano giunsero in pellegrinaggio papi, sovrani, futuri santi. Sul portale dell’atrio superiore della basilica vi è un’iscrizione latina che ammonisce “che questo è un luogo impressionante. Qui è la casa di Dio e la porta del Cielo”. Il santuario e la Sacra Grotta sono pieni di opere d’arte, di devozione e di voto, che testimoniano lo scorrere millenario dei pellegrini e su tutto campeggia nell’oscurità la statua in marmo bianco di S.Michele, opera del Sansovino, datata 1507. L’arcangelo è comparso lungo i secoli altre volte, sia pure non come sul Gargano, che rimane il centro del suo culto, ed il popolo cristiano lo celebra ovunque con sagre, fiere, processioni, pellegrinaggi e non c’è Paese europeo che non abbia un’abbazia, chiesa, cattedrale, ecc. che lo ricordi alla venerazione dei fedeli.
Apparendo alla devota portoghese Antonia de Astonac l’arcangelo promise la sua continua assistenza, sia in vita che in purgatorio, e inoltre l’accompagnamento alla S.Comunione da parte di un angelo di ciascuno dei nove cori celesti, se avessero recitato prima della Messa la corona angelica che gli rivelò. I cori sono: Serafini, Cherubini, Troni, Dominazioni, Potestà, Virtù, Principati, Arcangeli ed Angeli.
La sua festa liturgica principale in Occidente è iscritta nel Martirologio Romano al 29 settembre e nella riforma del calendario liturgico del 1970 è accomunato agli altri due arcangeli più conosciuti Gabriele e Raffaele nello stesso giorno, mentre l’altro arcangelo Uriele, a volte nominato nei sacri testi, non gode di un culto proprio. Per la sua caratteristica di “guerriero celeste” S.Michele è patrono degli spadaccini, dei maestri d’armi, dei doratori, dei commercianti, di tutti i mestieri che usano la bilancia, i farmacisti, pasticcieri, droghieri, merciai, fabbricanti di tinozze, dei radiologi e della Polizia. È patrono principale delle città italiane di Cuneo, Caltanissetta, Monte Sant’Angelo, Sant’Angelo dei Lombardi, compatrono di Caserta.
Difensore della Chiesa, la sua statua compare sulla sommità di Castel S.Angelo a Roma, che come è noto era diventata una fortezza in difesa del Pontefice; protettore del popolo cristiano, così come un tempo lo era dei pellegrini medievali, che lo invocavano nei santuari ed oratori a lui dedicati, disseminati lungo le strade che conducevano alle mete dei pellegrinaggi, per avere protezione contro le malattie, lo scoraggiamento e le imboscate dei banditi. Per quanto riguarda la sua raffigurazione nell’arte in generale, è delle più vaste; ogni scuola pittorica in Oriente e in Occidente lo ha quasi sempre raffigurato armato in atto di combattere il demonio. Sul Monte Athos nel convento di Dionisio del 1547, i tre principale arcangeli sono così raffigurati: Raffaele in abito ecclesiastico, Michele da guerriero e Gabriele in pacifica posa e rappresentano i poteri religioso, militare e civile.